La Pieve di San Martino è un edificio romanico del XII secolo a Gattico-Veruno, oggi in rovina, con tre navate e absidi, immersa in un'area boschiva fuori dal centro abitato.
I misteri della Pieve di San Martino a Gattico-Veruno
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’antica Pieve di San Martino giace silenziosa ai margini settentrionali dell’abitato di Gattico-Veruno, quasi inghiottita dal bosco che la circonda. I resti di questa chiesa millenaria emergono tra la vegetazione come le ossa di un gigante dimenticato, senza più tetto né pavimento a proteggerli dalle intemperie. L’atmosfera è carica di mistero: pietre secolari avvolte dal muschio, archi spezzati che si stagliano contro il cielo e un silenzio irreale interrotto solo dal sussurro del vento tra gli alberi. Camminando su quello che un tempo era il pavimento sacro, il visitatore si sente quasi un esploratore del tempo, spinto dalla curiosità a scoprire quali segreti custodiscano queste rovine affascinanti.


Un'antica chiesa immersa nel bosco
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’origine della Pieve di San Martino si perde nei secoli e si mescola con la leggenda. Le cronache attestano che già all’inizio del XII secolo qui sorgeva una chiesa plebana: un documento papale del 1133 (durante il pontificato di Innocenzo II) menziona infatti la “Plebem de Gatigo cum capellis suis”, prova che San Martino era il cuore religioso di Gattico con diverse cappelle dipendenti. Si ritiene che la costruzione originaria risalga attorno al 1125-1150, forse per volontà dei nobili Da Castello di Gattico, oppure per iniziativa del vescovo di Novara, attratti dalla sacralità del luogo.
Perché edificare proprio qui, fuori dall’abitato e lontano dal castello? Alcuni credono che questa collina boscosa fosse già venerata in tempi antichi, e che la scelta non fu affatto casuale. La tradizione locale, infatti, sussurra di un passato pagano: si narra che prima della chiesa vi fosse un tempio dedicato al dio Mercurio, eretto forse dai coloni romani in questa zona sacra. Leggende parlano addirittura del trafugamento di una statua bronzea del dio Mercurio dal sito, quando il nuovo culto cristiano prese il sopravvento. Non esistono prove concrete di questo tempio perduto, ma durante scavi e ricerche sono emersi indizi di epoca romana tutt’attorno – frammenti di ceramiche, pietre lavorate – segno che qui sorgeva un insediamento antico. Forse una villa romana con un piccolo oratorio paleocristiano annesso, ipotizzano alcuni storici, su cui poi venne edificata la Pieve. Realtà o suggestione? Il solo pensiero che il suolo sotto i nostri piedi possa aver ospitato riti pagani conferisce al luogo un’aura ancora più enigmatica.
Nel 1357 la chiesa di San Martino è citata chiaramente come sede pievana autonoma: a quel tempo fungeva da chiesa madre per i villaggi circostanti, unico luogo dove si amministravano battesimi e decime. Sappiamo che alla fine del Trecento dipendevano da San Martino numerose cappelle minori – Sant’Andrea, Sant’Eugenio, San Michele, Santa Maria, Sant’Ambrogio, San Giacomo, per citarne alcune – a testimonianza dell’importanza di questa pieve nel medioevo. Ma cosa avvenne dopo? Dalla sua fondazione gloriosa, qualcosa cambiò improvvisamente. La comunità abbandonò la sua chiesa più antica, lasciandola cadere in rovina. Le pietre rimaste, mute testimoni, sembrano chiedere il perché.
Declino misterioso
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ll’inizio del XV secolo accadde l’impensabile: San Martino venne abbandonata dai fedeli, per motivi ancora oggi oscuri e dibattuti. In quegli anni turbolenti il territorio fu sconvolto da guerre e saccheggi – la zona fu teatro delle scorribande del condottiero Facino Cane – ma dalle fonti non emerge una causa precisa. Forse un incendio devastante consumò il tetto e rese la chiesa inagibile; forse una pestilenza o qualche evento traumatico decimò la popolazione costringendola a spostarsi altrove; o forse, come mormora qualcuno, la vecchia pieve era diventata scomoda e si preferì edificare un nuovo tempio nel centro abitato, lasciando San Martino al suo destino.
Fatto sta che intorno al 1400 questo luogo di culto fu lasciato al silenzio e al vento, e i suoi antichi privilegi trasferiti alla nuova chiesa dei Santi Cosma e Damiano in paese. Da allora iniziò un lungo periodo di declino e oblio. Già nel Seicento San Martino appariva come uno scheletro di pietra: priva di tetto, pavimento e arredi, esposta alle piogge e alla vegetazione invadente. Documenti del XVII secolo riportano un fatto triste e prosaico: la gente del luogo andava a spogliarla dei materiali, smontando pietre e marmi dalla chiesa diroccata per riutilizzarli in altre costruzioni. Le autorità ecclesiastiche arrivarono a minacciare la scomunica pur di fermare quello scempio, ma la tentazione di attingere a quel “magazzino” di pietre già squadrate fu più forte della devozione.
Si racconta – ed è quasi ironico – che nel 1630 alcuni blocchi di San Martino vennero impiegati per costruire il campanile della nuova parrocchiale di Gattico: quasi un passaggio di consegne materiale tra la chiesa antica e quella moderna. Viene da chiedersi se quegli uomini che strappavano via le pietre dall’altare avessero mai il timore di incorrere in qualche maledizione per la loro empietà, o se il castigo peggiore fosse già sotto i loro occhi: vedere l’amata pieve ridotta a rudere.
I secoli seguenti hanno lentamente cancellato i dettagli della storia di San Martino. Niente più tetto, niente più campane, forse crollate da un campanile di cui non resta traccia. Delle eventuali decorazioni interne restano solo frammenti: se mai vi furono affreschi colorati sulle pareti, il tempo (e forse il fuoco) li ha dissolti, lasciandoci solo qualche tenue traccia di intonaco qua e là.
Viene quasi spontaneo immaginare la scena dell’ultimo officio religioso celebrato qui: i ceri consumati sull’altare, un prete che chiude il portone sapendo che forse non verrà più riaperto, e fuori il bosco che lentamente reclama il suo spazio. Da quel momento in poi, San Martino è diventata terra di nessuno e di tutti: rifugio per animali selvatici, meta di curiosi e, c’è da scommetterci, fonte di racconti fantastici sussurrati attorno al fuoco.


Architettura simbolica e segreti del passato
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onostante lo stato di rudere, la Pieve di San Martino conserva intatta la sua impronta romanica e molti dettagli architettonici che raccontano la sua storia. La chiesa era costruita su una pianta basilicale a tre navate, ciascuna terminante con un proprio abside semicircolare rivolto ad oriente. Il numero tre ritorna dunque più volte – tre navate, tre absidi – un simbolismo che richiama la Trinità e conferisce all’edificio un equilibrio quasi mistico.
Le navate erano separate da sei possenti pilastri quadrangolari (tre per lato), ancora visibili nel loro allineamento, che sorreggevano arcate a tutto sesto oggi aperte verso il cielo. Costruita prevalentemente con blocchi di pietra locale (serizzo) accuratamente squadrati, la chiesa mostra qua e là inserti in mattoni rossi nei pilastri e nelle finestrelle, creando un elegante contrasto cromatico.
In facciata si scorgono i resti di un portale che doveva essere davvero particolare: sopra l’ingresso principale vi è una lunetta semicircolare e, appena sotto, un architrave trapezoidale unico nel suo genere. Tale forma inconsueta stimola la fantasia: perché dare all’architrave una sagoma trapezoidale, quasi fosse un passaggio “obbligato” per chi entrava? Solo gli antichi costruttori lo sapevano, ma viene da pensare a qualche significato simbolico nascosto in quelle geometrie.
Si ipotizza inoltre che proprio sopra il portale fosse collocata una “croce luminosa” ricavata nel muro: si tratterebbe di un’apertura a forma di croce, attraverso cui i raggi del sole potevano filtrare nell’oscurità della chiesa. Immaginate la luce dell’alba penetrare dalla facciata e disegnare una croce di sole sul pavimento della navata centrale – una visione suggestiva che mescola ingegneria e spiritualità.
Sospetti e interrogativi irrisolti
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el corso dei secoli, molti dubbi sono nati attorno alla Pieve di San Martino, domande che rendono ancor più intrigante la sua storia. Ecco alcuni dei misteri irrisolti e delle strane curiosità che aleggiano su questo luogo:
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Tempio pagano o leggenda? – Davvero qui sorgeva un tempio dedicato a Mercurio prima dell’era cristiana? E che fine ha fatto la famosa statua bronzea del dio?
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Perché l’abbandono improvviso? – Quale evento spinse la comunità ad abbandonare San Martino all’inizio del ’400? Guerra, peste o presagio oscuro?
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Il campanile scomparso – Esisteva una torre campanaria poi crollata e smantellata, oppure la pieve nacque senza campanile?
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Affreschi perduti – Le pareti ora nude custodivano affreschi sacri? Oggi restano solo briciole di intonaco sbiadito.
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Simboli nascosti ed esoterismo – L’architrave trapezoidale e la croce luminosa avevano forse significati segreti? Qualcuno ipotizza allineamenti cosmici o messaggi cifrati.

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orse nuove indagini archeologiche un giorno faranno luce su alcuni di essi, ma intanto il fascino della Pieve sta proprio in ciò che non si può sapere con certezza. Ogni visitatore è libero di dare la propria interpretazione a quei segni misteriosi e di costruirsi, in fondo, la propria leggenda su San Martino di Gattico.
Il fascino silenzioso di San Martino
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ggi, nonostante sia un rudere, San Martino non è affatto un luogo “morto”: emana un’energia particolare che attira appassionati di storia, fotografi e amanti del mistero. Negli ultimi decenni si è intervenuti per mettere in sicurezza e restaurare ciò che rimane: consolidati i muri perimetrali degli absidi e ricostruito un pilastro crollato, restituendo stabilità alla struttura. L’area è stata ripulita dalla vegetazione, permettendo di apprezzare meglio la pianta e i dettagli architettonici superstiti.
Questo ha permesso ai visitatori odierni di passeggiare tra le navate a cielo aperto in relativa sicurezza, respirando la storia che permea ogni pietra. Basta chiudere gli occhi per un momento, sotto l’arco muto di una delle navate, e sembra di sentire in lontananza l’eco di canti gregoriani o il rintocco di una campana fantasma.
La luce del tramonto, filtrando tra le arcate spezzate, dipinge ombre lunghe sul terreno dove un tempo stavano i fedeli, quasi fossero anime antiche che tornano a visitare questi luoghi al calar del sole. Ogni pietra su cui posiamo lo sguardo potrebbe raccontare un aneddoto di matrimoni, battesimi, funerali celebrati secoli fa — e di come poi tutto sia finito nel silenzio.
La Pieve di San Martino è quindi molto più di un mucchio di rovine: è un libro di pietra aperto sul medioevo novarese, con pagine mancanti e capitoli misteriosi. La sua bellezza sta nelle domande senza risposta che pone a chi la visita. Entrando nel suo perimetro, si diventa parte di una storia incompiuta: sta al visitatore completarla con la propria immaginazione.
È impossibile non restare affascinati da questo luogo fuori dal tempo, dove storia e leggenda si intrecciano. Se vi trovate a passeggiare nei boschi di Gattico-Veruno, lasciatevi guidare dalla curiosità verso San Martino: scoprirete un angolo segreto del passato, e forse proverete un brivido lungo la schiena, come se qualcuno o qualcosa, da quei muri millenari, vi stesse osservando — o salutando, riconoscente di non essere stato dimenticato.
